“E’ molto difficile mettere d’accordo cuore e cervello, non si rivolgono nemmeno la parola” (Woody Allen)
Premessa
La dicotomia tra mente e cuore ci accompagna per tutta la vita. Più forti sono il sentimento e la mente emozionale (potente, impulsiva e a volte illogica), più debole è la mente razionale (capacità di pensare e riflettere). E’ come se avessimo due cervelli, due menti e di conseguenza due intelligenze:
– una razionale;
– una emotiva.
La nostra vita è caratterizzata dalla presenza di emozioni di varia natura e intensità. Secondo diversi studi le emozioni sono presenti fin dalla nascita (attivano il sistema limbico, risultano indipendenti dal processo di comprensione cognitivo e possono essere considerate come risposte “quick and dirty”, in quanto caratterizzate da un’alta velocità di reazione e da un elevato margine d’errore) e i bambini inconsapevolmente provano gioia, dolore e rabbia.
Le prime figure con cui il bambino entra a contatto (i genitori) sono fondamentali per comprendere la differenza tra il mondo esterno e quello interiore che gli sarà d’aiuto per costruire un modello di rapporto con gli altri.
L’emozione è un fenomeno statico, mentre il sentimento è un fenomeno dinamico, gli adulti spesso riescono a percepire e manifestare solo pochi sentimenti, perché alcuni per cultura sono approvati e incoraggiati (gioia), mentre altri considerati negativi (paura e invidia) sono da nascondere o da temere.
Al contrario tutte le emozioni hanno la stessa importanza e non sono né positive né negative, è fondamentale aiutare il bambino a riconoscerle e a esprimerle con le parole.
I bambini piccoli collegano le emozioni a eventi concreti, come ad esempio la gioia e l’amore (sentimento) possono essere ricondotte alle “coccole” dei genitori, la rabbia ai dispetti, la tristezza a un rimprovero e la paura al buio, ai tuoni o ad altro.
I bambini fino a circa 6 anni sono emotivamente sinceri, in quanto in questi anni sperimentano i propri e gli altri stati d’animo, dopodiché sono in grado di mascherare le proprie emozioni, soprattutto se all’interno del contesto familiare non gli si è data l’opportunità di esprimere le proprie emozioni e se le emozioni non sono mai state ascoltate o capite. Ciò non toglie che in età scolare i bambini impareranno a mascherarle, in quanto sapere quando manifestare le emozioni e quando non manifestarle, rappresenta la base per mantenere i rapporti sociali e tutto ciò contribuisce alla crescita della loro competenza emotiva.
Come riconoscere le emozioni?
Le teorie delle emozioni possono essere raggruppate in tre categorie:
– fisiologiche: le risposte all’interno del nostro corpo sono responsabili delle emozioni;
– neurologiche: l’attività all’interno del cervello conduce a risposte emotive;
– cognitive: i pensieri e le altre attività mentali hanno un ruolo essenziale nella formazione di emozioni.
Tutti i Genitori, gli Educatori e gli Istruttori possono imparare a riconoscere le emozioni dei propri figli e dei piccoli atleti, seguendo delle semplici strategie. Innanzitutto bisogna:
– conoscere bene se stessi;
– essere in grado di riconoscere, capire e identificare i propri stati d’animo;
– imparare ad avere un ascolto empatico verso ciò che il bambino sta esprimendo.
Se non si conoscono bene i bambini tutto ciò non potrà avvenire e quando i bambini raccontano (con poche o tante parole) meritano l’ascolto dell’adulto (Genitore, Educatore, Istruttore).
Spesso i bambini hanno difficoltà a esprimere l’emozione che stanno provando e quindi a nominarle; per questo occorre l’aiuto dell’adulto per identificarle e classificarle, solo così il bambino potrà imparare a distinguerle ed esprimere più facilmente il suo stato d’animo.
E’ la dimensione emotiva che ci fornisce le chiavi per interpretare i comportamenti dei bambini quando giocano.
Piaget sostiene che “l’emotività costituisce la fonte energetica da cui dipende il funzionamento dell’intelligenza”.
Sul piano del gradimento del gioco, i bambini ricercano e riproducono le azioni che li hanno gratificati (successo), mentre rifiutano le situazioni che non li hanno soddisfatti (insuccesso).
I bambini devono essere messi in grado di valutare la realtà, determinando sia le reazioni che generano ciò che è difficile e brutto, sia quelle che generano ciò che è bello e facile.
L’Educatore deve essere in grado di interpretare le emozioni dei bambini in palestra, sia quando le azioni sono gratificanti (successo), sia quando sono poco gratificanti (insuccesso).
Perché?
Tutto ciò dipende dal metodo di insegnamento dell’Educatore, da come comunica, da come si comporta, dal suo grado di empatia con il bambino, da come presenta i giochi o gli esercizi, che obiettivi si propone.
I tipi di emozioni
Esistono due tipi di emozioni:
– fondamentali o primarie;
– complesse o secondarie.
Le emozioni primarie, che creano azioni immediate difficilmente controllabili (paura, gioia, rabbia, tristezza, sorpresa, attesa, disgusto, accettazione), rimangono sostanzialmente costanti nel corso della vita.
Le emozioni secondarie (invidia, allegria, vergogna, ansia, rassegnazione, gelosia, speranza, perdono, offesa, nostalgia, rimorso, delusione) attivano connessioni sistematiche tra le emozioni primarie e il processo cognitivo di comprensione (rapporto tra la crescita e le esperienze maturate).
Tutte le emozioni elencate precedentemente si possono verificare durante una partita di Minibasket: i bambini che hanno vinto e quelli che hanno perso si identificano sia nelle emozioni primarie che in quelle secondarie.
In questo contesto i comportamenti emozionali dei bambini si stabilizzano, si allarga il loro orizzonte temporale sul quale proiettare e controllare le emozioni e i comportamentali, aumentano i rapporti con gli altri e le emozioni si amplificano.
L’Istruttore Minibasket, a tale scopo, deve presentare progressivamente in palestra:
– esercizi e giochi “intelligenti” (apprendimento di mappe cognitive);
– giochi (giochi simbolici per i più piccoli);
– storie fantastiche e storie vere;
– esercizi-gioco.
E’ importante presentare in palestra più giochi, più esercizi e più schemi motori il bambino padroneggia, meglio si comporta nel gioco (muoversi correttamente nello spazio e nel tempo).
Freud sottolinea l’importanza del gioco per il bambino, che per lui non è solo un divertimento o un passatempo, ma costituisce un modo per comprendere le proprie esperienze emotive.
Al gioco i bambini affidano le proprie emozioni, i propri pensieri e i ricordi, alla base del gioco vi è un rapporto di transfert, fin dall’inizio della loro vita i bambini utilizzano il gioco per esplorare e per rapportarsi con gli altri.
Vincere una gara, realizzare un canestro ti fa stare bene (gioia, allegria), perdere una gara, perdere una partita, sbagliare un tiro o un passaggio ti fa stare male (collera, rabbia) e tutte queste emozioni devono essere valorizzate, stimolate, gestite e controllate dall’Istruttore Minibasket.
Il cervello viscerale
Da un punto di vista anatomico, il circuito del sistema limbico, della neo-corteccia, dell’amigdala e dei lobi pre-frontali, permette il funzionamento del cervello emotivo.
Secondo LeDouz (2003) nei 1000 secondi in cui si percepisce un oggetto, si comprende cosa sia e si decide se ci piace oppure no.
Sono stati identificati due circuiti attraverso i quali gli stimoli sensoriali raggiungono l’amigdala:
– una via diretta che va dal talamo all’amigdala che consente una rapida valutazione e conduce a una immediata risposta emotiva;
– una via più lunga che va dal talamo alla neo-corteccia (cervello pensante) e quindi all’amigdala e che consente ai sistemi cognitivi superiori del cervello di valutare più dettagliatamente lo stimolo, le eventuali relazioni con gli altri stimoli e le rappresentazioni di esperienze passate.
L’ippocampo ricorda i fatti, l’amigdala ne trattiene il sapore emozionale che si innescherà ogni volta che ci si troverà in situazioni simili. Quanto più intenso è il risveglio dell’amigdala, tanto più forte è il ricordo e per questo motivo che i ricordi più incisivamente emotivi diventano indelebili (il giorno prima della prima partita di Minibasket, la partita, la vittoria, la sconfitta, il primo canestro, il pianto di gioia, la rabbia).
In ultima analisi le connessioni tra l’amigdala e la neo-corteccia sono al centro dell’interazione tra pensiero e sentimento ed evidenziano come l’emozione sia fondamentale nella produzione del pensiero.
L’intelligenza emotiva
L’intelligenza emotiva sta alla base dell’autocontrollo, dell’attenzione verso gli altri e dell’empatia. I bambini più equilibrati e sereni, più sicuri di sé, migliori a scuola e anche i più felici, sono quelli che hanno un’intelligenza emotiva più elevata.
Secondo Gottman, questo tipo di intelligenza non è innata, ma si può imparare e gli Insegnanti migliori sono i Genitori, gli Educatori, gli Istruttori che possono diventare dei veri e propri “Allenatori emotivi”.
L’intelligenza emotiva permette ai bambini di essere più preparati ad affrontare i rischi e le sfide.
In palestra
In palestra ogni esercizio e ogni gioco devono essere delle sfide contro se stessi e contro gli altri, non bisogna proporre sempre gli stessi esercizi, bisogna cambiare le squadre, i capifila, le regole, le emozioni.
L’Istruttore deve accettare tutte le emozioni dei bambini, anche quelle negative (ma non i comportamenti negativi), deve immedesimarsi nei bambini e deve provare empatia nei loro confronti.
L’Istruttore bravo, competente, Educatore, è colui che riesce sempre a mettersi nei panni del bambino, che nelle emozioni (anche negative) vede un’occasione di crescita e di conseguenza riesce a gestire i momenti di crisi con maggior pazienza, accettando e ascoltando tutti i sentimenti del bambino, anche rabbia, tristezza, paura, senza minimizzare, sottovalutare o trascurare queste emozioni.
In palestra quando giocano, non tutti i bambini sono uguali, c’è chi reagisce in un modo di fronte a un insuccesso (pianto, rabbia), c’è chi reagisce in un altro (peccato, sarà per la prossima volta) e l’Istruttore deve accettare tutti i tipi di sentimenti, ma non i comportamenti.
Durante la lezione di Minibasket ci sono bambini che giocano e si divertono, che corrono, saltano e sorridono, ma ci sono anche bambini che non si divertono, che fanno dispetti, che non collaborano, che sono aggressivi. L’Istruttore deve essere in grado di “gestirli” tutti, deve osservare continuamente ed essere a disposizione di tutti e con il sorriso sulle labbra e se occorre………richiamarli.
L’Istruttore Minibasket
Nel processo educativo-motorio è ormai consolidata la necessità di un approccio multidimensionale che permetta di comprendere le dimensioni biologiche, psicologiche, sociali e culturali dell’individuo.
L’Istruttore non ha più solo il compito di trasmettere ai bambini dei modelli precostituiti, ma deve porre la sua attenzione sul singolo bambino (e non sul gruppo) e quindi deve fornire modalità di lavoro che mettano in grado i bambini di gestire autonomamente il proprio processo formativo, educativo, motorio, sociale, utilizzando strumenti adeguati per articolare la propria identità e il proprio spazio (alfabetizzazione emotiva).
L’Istruttore Minibasket deve:
– essere il catalizzatore degli interessi e delle emozioni dei bambini;
– coinvolgere i bambini;
– deve capirli;
– essere buon comunicatore;
– essere un ottimo Educatore che sappia estrarre “il meglio” da ognuno!
I bambini che durante la lezione hanno la sensazione che l’Istruttore li comprende e sia veramente interessato a loro, non hanno bisogno di recitare e fare scene per attirare la sua attenzione.
I bambini “allenati” emotivamente fin da piccoli imparano a calmarsi da soli e riescono a rilassarsi.
I bambini che instaurano un legame emozionale con l’Istruttore sono più recettivi nei confronti delle sue richieste e sono più disposti a compiacere piuttosto che a deludere.
In palestra l’Istruttore deve cercare di capire se dietro un comportamento sbagliato del bambino c’è un disagio (scolastico, familiare, etc.) e quindi deve fare uno sforzo per immedesimarsi in lui e capire che cosa può aver generato questa emozione (empatia).
“Caro Istruttore quando in palestra un bambino che ha perso una gara, o la partita, scoppia in lacrime, oppure è rabbioso, anziché farti travolgere dalle sue emozioni negative, devi stare tranquillo e pensare che questo è un momento importante e una grande occasione per allenarlo emotivamente”.
Un atteggiamento da evitare è ignorare le emozioni negative, pensando che passino da sole o che non siano importanti.
I bambini hanno bisogno di imparare a capire quello che provano, sentendoselo dire dall’Istruttore e per non crescere con delle insicurezze, hanno bisogno di sentirsi compresi.
L’Istruttore intelligente è colui che riconosce le emozioni dei bambini prima che sfocino in crisi, l’Istruttore capace e competente è colui che risolve i problemi assieme al bambino prima che esplodano (ad esempio se un bambino è teso per la partita, è meglio parlare con lui e sdrammatizzare la situazione, senza sminuirla).
Se un bambino sbaglia un tiro a canestro, o un passaggio al compagno, l’Istruttore deve mostrare interesse alla situazione che si è verificata e cercare di aiutarlo a risolvere l’insuccesso: in questo modo imparerà a capire che “siete alleati” e potete collaborare e così eviterà di fare una sceneggiata.
L’Istruttore deve essere consapevole che i momenti di crisi dei bambini (insuccesso, partita persa, tiro, sbagliato, passaggio non riuscito) sono importanti per insegnare loro a risolvere i problemi.
Per fare tutto ciò si deve “mettere alla loro altezza” (seduto o in ginocchio di fronte a loro), guardarli negli occhi, parlare in modo rilassato e dimostrare di capire il loro disagio.
La cosa più importante in questi momenti è riconoscere le emozioni dei bambini di fronte ai problemi che si presentano durante il gioco e non dare loro delle soluzioni (ad esempio in una situazione di 2 contro 1, non dire subito come devono comportarsi gli attaccanti e che cosa deve fare il difensore), ma è importante osservare come si comportano ed successivamente dire che cosa era meglio fare.
In queste situazioni la cosa importante è aiutare i bambini a trovare le parole per definire le emozioni che prova giocando di fronte a un successo o a un insuccesso.
E’ compito dell’Istruttore aiutare i bambini a definire (dare un nome) le emozioni che provano e in questo modo non solo si sentono compresi, ma sono anche in grado di definire il loro stato d’animo.
Dare un nome alle emozioni ha un effetto rasserenante sul Sistema Nervoso e aiuta i bambini a uscire più velocemente dalle situazioni di disagio.
L’Istruttore, dopo aver riconosciuto l’emozione che sta dietro a un comportamento sbagliato (insuccesso) e dopo essersi messo nei panni del bambino, deve fargli capire che l’emozione negativa è comprensibile ma non altrettanto un comportamento negativo.
E’ compito dell’Istruttore porre dei limiti a comportamenti negativi e pericolosi dei bambini (pianto perché la squadra ha perso la partita, collera perché il compagno non ha passato la palla o l’ha persa, rabbia perché il Miniarbitro non ha fischiato un fallo a favore, etc.), tenendo presente che purtroppo molti genitori assecondano questi comportamenti che sicuramente non aiutano il bambino a uscire da queste situazioni.
Il genitore deve fare il genitore, deve educare i propri figli, non deve indossare i panni dell’Istruttore, non deve assecondare il figlio e consolarlo, non deve insultare il Miniarbitro o i giocatori della squadra avversaria: tutto ciò è pericoloso e può suscitare emozioni negative nel bambino.
Lo stesso dicasi per l’Istruttore che insulta il Miniarbitro, che insulta l’Istruttore dell’altra squadra, che sgrida continuamente i propri bambini, che li redarguisce ad alta voce davanti a tutti.
Quando un Istruttore “riprende” un bambino, deve agire in modo fermo, ma senza ledere la sua dignità o deriderlo: sono da evitare i richiami e le punizioni umilianti. Già il bambino ha sbagliato (emozione negativa) e se poi l’Istruttore lo umilia davanti a tutti (emozione negativa) non ha tenuto sicuramente un comportamento corretto: bisogna agire con molta sensibilità, senza urlare o utilizzare atteggiamenti bruschi.
Una volta che l’Istruttore ha preso in esame l’insuccesso (con pianti da parte del bambino o gesti di insofferenza), l’Istruttore deve aiutarlo a risolvere il problema. Prima di tutto deve chiedere al bambino come si sarebbe comportato in quella particolare situazione di gioco (ad esempio in una situazione di 2 c 2) e poi magari incoraggiarlo a generare da solo le sue idee e rinforzarlo, fornendogli delle altre alternative di comportamento (era meglio passare la palla, oppure per smarcarti muoviti più velocemente).
Una volta che il bambino ha preso in esame più soluzioni per risolvere il problema, l’Istruttore deve aiutarlo a valutare quella giusta, chiedendogli “Pensi che funzionerà?”.
La fase successiva sarà la messa in pratica della soluzione ottimale e poi è opportuno valutare se ha funzionato. E se ha funzionato è indispensabile riproporre la stessa situazione con alcune varianti e incoraggiare il bambino a risolvere i problemi che si incontrano in base alle esperienze precedentemente vissute.
E comunque se il bambino prende un’iniziativa sbagliata, l’Istruttore deve fare in modo che la possa mettere in pratica e se fallirà, potrà incoraggiarlo a provare un’altra opportunità (logica applicata al movimento).
Proposte per la rilevazione delle emozioni
1) Preparare un grande cartellone da appendere in palestra, su cui annotare tutte le emozioni espresse dai bambini durante il gioco. Nel cartellone si possono proporre delle domande del tipo:
– quando ti senti felice?
– quando sei triste?
– che cosa ti fa arrabbiare?
– cosa ti fa paura?
A ogni domanda lasciare uno spazio per le diverse emozioni descritte dai bambini e il perché.
Alla fine della lezione (o delle lezioni) è importante esaminare assieme ai bambini le emozioni provate e dialogare con loro.
2) Preparare delle “schede di rilevazione delle emozioni” con delle domande e a fianco scrivere “sempre”, a volte”, “mai”. Invitare i bambini alla fine della lezione (o delle lezioni) a compilare la scheda e alla fine è importante dialogare con loro.
Esempi di domande:
– quando gioco sono emozionato?
– quando gioco e perdo, cerco di non arrabbiarmi?
– se sono triste lo dico a qualcuno?
– se sto giocando bene sono felice?
– se realizzo un canestro esulto?
– se sbaglio un passaggio o un canestro facile mi arrabbio?
– se non mi passano la palla mi arrabbio?
– se ho la palla in mano penso di realizzare canestro da solo?
– provo rabbia se la squadra avversaria vince?
– quando non riesco a palleggiare bene, o tirare o passare, penso che farò meglio la prossima volta?
– alla fine della partita sono rilassato?
– se gli avversari mi provocano durante il gioco sono in grado di controllarmi?
– prima della partita mi emoziono?
– se il mio Istruttore non mi fa giocare provo subito tristezza?
– se il mio Istruttore mi fa giocare subito provo gioia?
Valutazione
“Sempre”: 3 punti
“A volte”: 2 punti
“Mai”: 1 punto
Rilevazione:
45 punti: ha una buona gestione delle emozioni
30 punti: fa fatica a riconoscere le emozioni
15 punti: nessun controllo delle emozioni
“Un’emozione non ha tempo, un’emozione arriva e non puoi decidere se è presto o tardi per provarla, le emozioni arrivano così, ti scaldano il cuore, non possono essere decise a tavolino, sono come il vento, vanno via in un istante, sono attimi della tua vita, dei tuoi giochi, vivile con tutto il cuore”.
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