Il ritmo con cui i bambini imparano ci pone di fronte a constatazioni contradditorie. Da un lato appare che il bambino riesce a imparare con un’estrema rapidità, tale da sorprendere l’adulto, il quale talvolta rileva di non essere in grado di apprendere con analoga velocità (esempio: i bambini si impadroniscono con disinvoltura dei congegni tecnologici rispetto all’adulto).
Dall’altro lato, si rileva come certe conquiste siano estremamente difficili per il bambino, il quale pare quasi insensibile alle sollecitazioni educative che gli provengono dall’adulto, tanto che i risultati minimi li raggiunge solo dopo lungo tempo e a costo di un faticoso e sofferto cammino.
Com’è possibile che i bambini siano tanto svelti nell’imparare certe cose e tanto lenti nell’apprenderne altre?
Come ci si deve comportare nei loro confronti quando vogliamo intervenire sui ritmi del loro apprendimento?
Per quanto riguarda la fenomenologia del tempo di apprendimento, è difficilmente sostenibile una visione che lo veda scandito in chiare tappe distintamente collocabili sull’asse cronologico.
I percorsi dell’apprendimento non sono unilineari, né vi è un unico ritmo che li scandisce: l’apprendimento è un intreccio di processi che possono avere tre dinamiche differenti:
– se il bambino è guidato da un adulto che gli impartisce in modo dosato le stimolazioni, il suo procedere assume la forma di una linea gradualmente ascendente e con il passare del tempo, a piccoli passi, aggiunge conquiste a conquiste e attraverso il cumularsi delle progressive acquisizioni, determinando un innalzamento dei livelli di competenza;
– se con il trascorrere del tempo, nonostante le ripetute esperienze e i pressanti inviti, il bambino non è accompagnato da un adulto che lo sollecita continuamente, la linea dei risultati rimane per molto tempo “piatta”, generando nell’Educatore sconforto e rassegnazione. Però improvvisamente compaiono i cambiamenti tanto desiderati (un salto, uno scatto, una scintilla) e se nulla avveniva prima, era perché doveva sedimentarsi un certo numero di elementi, oppure perchè il bambino doveva maturare una trasformazione qualitativa;
– se, nonostante le esperienze vissute e la vicinananza di un Educatore attento, con il procedere del tempo, si verificano dei progressi ma anche delle impennate. La curva dell’apprendimento (ora in salita e ora in discesa) sembra essere tracciata da un bambino più in preda a sbalzi umorali o ad eventi esterni, che impegnato in un consapevole cammino di miglioramento.
Gli scatti maturativi prendono spunto da profonde crisi (fasi di turgor e di proceritas, aumento della conoscenza degli schemi motori e posturali, separazione dei genitori, nascita di un fratellino, passaggio dalla situazione “a casa” a quella “a scuola”, conoscenza di nuovi bambini e di nuove figure educative), che fanno temporaneamente perdere al bambino alcune sue precedenti conquiste. Secondo Karmiloff-Smith, la crescita avviene attraverso delle “ridescrizioni”: ciò che il bambino sapeva fare precedentemente a livello automatico o intuitivo, deve cambiare il proprio “formato” mentale ed essere rappresentato a un più elevato livello cosciente e astratto, cioè deve essere ridescritto.
Questa sorta di ritrascrizione comporta il passaggio, attraverso una fase intermedia, nella quale si abbandona il precedente semplice livello, ma non è stato acquisito ancora il nuovo, più elevato. In questo transito, il bambino abbandona il modo (che era a lui familiare) di svolgere un dato compito e non è ancora in possesso della modalità alternativa e per questo le sue prestazioni peggiorano (esempio: il bambino che non esegue più le operazioni con le dita perché sta cercando di compiere i calcoli mentalmente). Questo regresso è tuttavia necessario per arrivare a svolgere un’operazione, che prima era compiuta con mezzi “primitivi”, in una forma più evoluta, che una volta padroneggiate, amplierà il raggio delle sue possibilità.
Se queste sono le forme attraverso le quali può realizzarsi l’apprendimento, non c’è da attendersi sempre un’unica movenza, ma piuttosto il coesistere e l’alternarsi nel bambino di scansioni temporali diverse.
Sarebbe certamente più rassicurante, per l’Educatore, un’immagine “continuista” dell’apprendimento, tale da garantire la possibilità di avere riscontri a ogni passo del processo e da fornire l’opportunità di apprezzare subito (o almeno presto) i risultati, anche se piccoli dei propri interventi educativi. I meccanismi sono invece più complessi, le soddisfazioni si alternano a cocenti delusioni e tutto ciò ci permette di passare dal piano descrittivo a quello prescrittivo.
Come accompagnare l’apprendimento del bambino?
Insistere o avere pazienza?
Non demordere o rinunciare?
Intervenire o “laissez faire”?
Piegare o assecondare i desideri dei bambini?
Innanzitutto è importante precisare che i “ritmi dei bambini” non devono essere intesi in modo naturalistico, ma come qualcosa di analogo ai ritmi biologici. Il tempo di un bambino nasce dall’incontro tra le sue esigenze interne e gli schemi offerti dall’ambiente.
Fin dalla nascita, il bambino vive entro una cornice che scandisce, in base a valori culturali e a convenzioni sociali, i suoi tempi (attraverso i tempi di coloro che di lui si prendono cura).
Questo gioco interattivo di caratteristiche (bisogni, richieste, etc.) individuali e norme ambientali produce il tempo del bambino. Il tempo del bambino è già un tempo al quale il bambino si è già piegato e contemporaneamente un tempo che gli altri hanno assecondato. E’ un tempo costruito dal bambino e dai suoi Educatori, un tempo che varia da contesto a contesto.
Ciò che è universale e che quindi si impone all’attenzione educativa, è la necessità che tale tempo sia sempre rispondente alle esigenze di significato del bambino, ossia un tempo nel quale il bambino “si ritrova”, un tempo che egli ravvisa in linea con l’assetto di vita in cui è cresciuto.
La questione non è di rallentare o velocizzare in assoluto i tempi di apprendimento, ma di verificare la coerenza tra tali tempi e il mondo complessivo del bambino (fatto di comportamenti, emozioni, pensieri, ideali, etc.).
Non ci sono tempi di reazione uguali per tutti i bambini (cìè chi apprende subito, chi apprende dopo, chi apprende dopo-dopo e chi non apprende quasi mai), i contesti culturali in cui sono cresciuti li rendono più o meno pronti a rispondere ai ritmi di certe sollecitazioni: rispettiamo i diversi ritmi di apprendimento e non generalizziamo il nostro insegnamento.
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